Perchè gli informatici sono antipatici

Gli informatici vengono spesso percepiti come persone antipatiche. E, da informatico, non posso che confermare. Ma dietro questa fama poco lusinghiera si nascondono motivazioni professionali ben precise, che cercherò di spiegare in questo articolo.

(attenzione: articolo scritto da un essere umano)


Il ruolo dell’informatico

Nel mondo di oggi, gli informatici si ritrovano sempre più spesso coinvolti in situazioni ad alta tensione. Pensiamo, ad esempio, a un attacco informatico subito dall’azienda, a una modifica strategica del sito e-commerce che – secondo un consulente esterno (ChatGPT) – rischia di compromettere il fatturato, o, più semplicemente, al computer del capo che improvvisamente rallenta.

Una delle principali competenze richieste a un informatico è la gestione dello stress – sia il proprio che quello delle persone che lo circondano e che attendono con ansia la risoluzione del problema.

Va detto che, nella maggior parte dei casi, lo stress non nasce dal problema tecnico in sé, ma dalle sue conseguenze. Per l’informatico, ad esempio, potrebbe trattarsi solo di un cavetto USB rotto da sostituire. Per il cliente, invece, quel cavetto rappresenta l’accesso a informazioni strategiche salvate su un hard disk. Informazioni che, se perse, potrebbero comportare la perdita di un ordine, un mancato guadagno, vacanze estive cancellate e una moglie infuriata da affrontare. E tutto questo carico emotivo, immancabilmente, viene scaricato sull’informatico.


Il confronto con altri mestieri

Se l’informatico fosse un chirurgo, lavorerebbe in una sala operatoria dove l’intera équipe è addestrata a gestire lo stress senza riversarlo sul medico.

Se fosse uno chef stellato, nessuno oserebbe disturbarlo durante la preparazione di un piatto delicato.

Se fosse un regista sul set, nessuno si permetterebbe di interromperlo o di chiedergli “quanto manca?” durante le riprese.

Ma l’informatico no. Agli occhi dei più è semplicemente una persona comodamente seduta a digitare tasti, muovere un mouse e fissare un monitor. Il suo non è un lavoro che comporta sudore visibile, tute sporche d’olio o sforzi fisici evidenti. In breve, non è un mestiere che restituisce una gratificazione “visiva” immediata.


Le armi di difesa degli informatici

Nei primi anni di carriera, ogni informatico sceglie una filosofia d’approccio: c’è chi prova a mostrarsi empatico, chi cerca di accontentare tutti, chi promette soluzioni sulla base dell’istinto più che su valutazioni realistiche. Ma, con il tempo, tutte le strade conducono verso l’inevitabile meta: l’antipatia.

Dopo qualche esperienza negativa, la mente dell’informatico – allenata a risolvere problemi – elabora un proprio algoritmo di sopravvivenza. Nasce così una lunghissima lista di FAQ da utilizzare nei momenti di panico collettivo. E a tutte le domande che riguardano tempi e costi, la risposta diventa sempre la stessa:

“Dipende.”

“Dipende” è il nuovo nero. L’equivalente IT di un tubino elegante: va bene in ogni occasione.

Il problema, infatti, non sono le risposte degli informatici, ma le domande che vengono poste – e soprattutto le pressioni che le accompagnano. Proprio come un chirurgo, uno chef o un regista, anche l’informatico ha bisogno di concentrazione e di un ambiente sereno per lavorare. Ma, non potendo contare su una barriera di rispetto sociale, si costruisce da solo le sue difese.


Le domande peggiori

“Quanto costa?”

“Quanto ci vuole?”

Domande legittime, certo. Ma in qualsiasi altro ambito professionale la risposta sarebbe comunque: “dipende”.

Nel caso dell’informatico, però, una stima errata può avere conseguenze dirette e dolorose. Se il preventivo è troppo basso, il lavoro finirà in perdita. Se è troppo alto, si espone a critiche e al rischio di essere scartato in favore di un concorrente più economico.

Lo stesso vale per i tempi di consegna. Molto spesso, le tempistiche dipendono da fattori esterni non controllabili: l’apertura del CED da parte di un responsabile, l’invio di materiali mancanti, la concessione di credenziali di accesso. Tutte variabili che difficilmente vengono considerate nella stima iniziale.

E poi ci sono gli imprevisti, che trasformano problemi banali in questioni complesse e lunghe da risolvere.


La concentrazione prima di tutto

Quando si lavora in emergenza, la concentrazione è tutto. In quei momenti, la capacità di relazione dell’informatico si azzera. La sua logica è schematica e tagliente: chi non è parte della soluzione, è parte del problema.

E allora, come si fa a non sembrare antipatici?

Semplicemente: non si può.

Ma forse, dopo aver letto questo articolo, guarderai l’informatico con occhi un po’ più comprensivi. Anche se continuerà a rispondere “dipende”.